Recensione

Lorenzo DonatiHystrio01 June 2007

Capre di montagna e preti radiofonici

Morto a soli 32 anni, Silvio D’Arzo è un esempio di quegli scrittori poco conosciuti nel panorama nazionale del dopoguerra, nonostante le lodi postume ricevute da Eugenio Montale. Silvio Castiglioni si accosta alla scrittura di D’Arzo in chiave radiofonica, ponendo un curato che parla in prima persona su un alto trespolo contornato da microfoni. Come in altri racconti dello scrittore reggiano, Casa d’altri narra di storie piccole, mosse da accadimenti quotidiani, sul filo delle ansie immaginate dai protagonisti. Il nostro curato è un «prete da sagra», incapace di dedicarsi a offici diversi da matrimoni o catechismi. L’incontro con una vecchia, però, colora brevemente la sua vita fra i monti, fra capre con occhi «che sembrano i nostri»: Castiglioni s’inclina per avvicinare la voce ai microfoni, come un filiforme Giacometti, e racconta dei dialoghi fra parroco e donna che sembrano celare un nocciolo che non può essere detto. La drammaturgia di Andrea Nanni asciuga con efficacia le già elusiva trama di D’Arzo, caricandola di attesa, mentre suoni di campanacci, di uccellini e ruscelli chiedono la nostra immaginazione proprio come in radio. Quello che poteva sembrare uno studio di registrazione diventa infine un teatro: il prete scende, lasciando sul trespolo il guscio vuoto della lunga tunica, viene in proscenio e ci dà le spalle. La vecchia, consumata dal lavoro e dalla devozione di una vita, si è finalmente decisa a domandare se la chiesa tolleri il suicidio. In tempi di podcast, è netta la cifra di questo lavoro, che difende un teatro sommesso, in cui l’artigianale è segno di un rigore che preserva l’empatia con lo spettatore. Come nel commiato del parroco, che esce trascinando una carriola che porta disegnata una capra d’altri tempi e d’altre biografie.