Recensione
Davide Brullo•La voce di Romagna•19 February 2015
Lello Mio
Silvio Castiglioni scopre i testi in italiano di Raffello Baldini. Un lavoro filologico e commovente.
A Cattolica, la prima di un progetto dedicato
al poeta santarcangiolese. Di cui è stato estratto dall’oblio un testo dimenticato: l’esordio letterario, nel 1967, “Autotem”. Perché non ripubblicarlo?
Ornitorinco e impiccato. Non so perché, mentre fluttuo nella notte opalescente verso Cattolica, mi viene in mente mio cugino. Marco sapeva ridere, sapeva consolare: due anni fa si è impiccato, lasciando due figlie. Lasciando un certo malloppo di debiti. Colpa della crisi, dicono; colpa della nostra vita fondata sul denaro, dico io. Finché il denaro non ci piglia la vita con gli interessi. La seconda cosa che mi è venuta in mente è stata l’ornitorinco. Pochi giorni fa squillò il compleanno di mia moglie. Mio figlio le regala una storia. Il protagonista è un ornitorinco. «Perché è come te, che ti senti diversa da tutti e incompresa». A Cattolica veleggiavo verso il Salone Snaporaz, c’è Silvio Castiglioni che porta in scena Raffaello Baldini, non posso mancarlo. Cosa c’entra con “Lello” il suicida e l’animale bizzarro? La tensione versi i diversi, i disparati disperati, blindati in una gemmata solitudine. Baldini era animato dal cinismo necessario ai poeti veri, da una tenerezza altrettanto decisiva.
Il libro introvabile. Al termine Silvio Castiglioni è stremato. Nel ridotto dello Snaporaz, cioccolatini e bottiglie di vino rosso addolciscono il giudizio. Un’ora di spettacolo, poco meno, forse. Ma entrare nel rogo di Baldini incenerisce, «sono in quel tunnel, ho scoperto i primi diamanti, ho ancora tanto da scavare». Il progetto di Castiglioni si chiama Nel labirinto, titolo perfetto: la vita descritta da Baldini, la pressante potenza con cui evoca (al modo di Dante, sterzando dalle mode sociologiche) uomini e sconfitti, è quella di chi vaga in un labirinto di calanchi, un enigma di voragini. L’occasione è filologica: Tiziana Mattioli, prof all’Università di Urbino, autrice, tra l’altro, della “Nino Pedretti Renaissance” (si vedano i tomi editi da Raffaelli, a cui è allegato sapiente spettacolo di Castiglioni, L’uomo è un animale feroce), sfida il teatrante dai vezzi letterari. Gli mette in mano un libro introvabile di “Lello”, Autotem. Primizia del poeta che verrà, esordio letterario del 1967, per Bompiani, in cui “Lello” ironizza intorno al boom (anzi, big bang) economico, redigendo diverse lettere di diversa umanità inviate a un fatidico direttore di giornale (tattica utilizzata con agilità dal formidabile Nathanael West nel formidabile Miss Lonelyhearts). Libro particolarissimo, comico e acerbo, introvabile davvero: l’Opac ne denuncia la presenza in sole 11 biblioteche d’Italia (in Romagna è a Santarcangelo, Rimini e Ravenna: buona cosa, a dieci anni dalla morte, ripubblicarlo, editori svegliatevi).
Il critico aureo. Pier Vincenzo Mengaldo ha detto tutto quello che c’era da dire: «Se non restasse ancora vivo il pregiudizio pigro per il quale un poeta in dialetto è un “minore”, anche quando è maggiore, Raffaello Baldini sarebbe considerato da tutti quello che è, uno dei tre o quattro poeti più importanti d’Italia». Secondo Castiglioni, Baldini ha un profilo addirittura “europeo”: per questo ha lavorato sui due soli testi in italiano, Autotem, appunto, e In fondo a destra, «che in fondo parlano dello stesso tunnel in cui siamo affondati dagli anni Sessanta in qua», dice lui. L’esito teatrale è interessante: in una sorta di “prova tecnica” (con proiezione video), Castiglioni dà voce e volto (perché Silvio trasfigura i tratti dicendo, è bimbo e vegliardo, uomo virile e femmina audace) ai personaggi evocati da Autotem. In cui l’automobile (ancora oggi simbolo idiota del nostro “stato sociale”) è oggetto del desiderio e della lussuria (un tizio adotta l’auto come esca per sverginare aguzze liceali), è allucinazione (l’auto appare al posto della Madonna) e perfino una tomba, in cui viene inumato il caro estinto (nel formidabile sketch Il funerale di Gemmano). Castiglioni è un attore eccellente perché non sembra esserlo: raschia ogni evoluzione retorica, pialla il delirio dell’istrione, la sua recitazione ha il sigillo dell’autenticità. Comunque, è con In fondo a destra che sgancia il cuore e lo divora davanti ai nostri occhi. Riemerso da una ferocissima e febbrile trebbiatura compiuta da Castiglioni, è un testo che l’attore ha masticato a lungo (vi lavorò con Federico Tiezzi), e si vede: lo recita in piedi, in cima alla sedia, fino ad accasciarsi nel silenzio. Nel video che lo compie, un Castiglioni in forma di disadatto Charlot, fugge dal bosco, ammira la strada, la attraversa, si perde ancora nel bosco. Meglio la selva oscura, trapuntata di belve, della strada dominata dagli uomini.