Recensione
Ennio Grassi•Il Ponte•04 August 2013
Monologhi, che teatro!
L’inedita inscenata pedrettiana di Silvio Castiglioni (con la collaborazione di Georgia Galanti), nella dolce quinta urbana di piazza Ganganelli, andrebbe intestata a mo’ di esergo alla 43°edizione del festival di Santarcangelo; festival che, pour cause, sembra trovare nuove valide ragioni neo-identitarie per il suo proseguimento. Si tratta di testi in lingua del genere dei monologhi che Nino Pedretti, il grande poeta neo-dialettale santarcangiolese, aveva e pensato e scritto per la RAI alla fine degli anni Settanta. Il progetto non andò in porto anche per la morte dell’autore avvenuta nel maggio 1981. Pedretti aveva pensato, consapevole del proprio prossimo commiato, anche ad una loro possibile pubblicazione, col titolo, lo si è scoperto poi, assai suggestivo, di Grammatiche. Questi testi ritrovati di recente nel fondo Pedretti della biblioteca di Santarcangelo ed editi in due volumi dall’editore Raffaelli, Monologhi e racconti (a cura di Manuela Ricci e Ennio Grassi, 2011) e Grammatiche (postfazione di Tiziana Mattioli, 2012) hanno un unico precedente nella assai parziale raccolta mondadoriana del 1991 curata da Franco Brevini, L’Astronomo, titolo di uno dei monologhi antologizzati. A distanza di oltre trent’anni, la loro pubblicazione integrale e la loro messa in scena rivelano un tratto dell’attività di Pedretti, quello volto al teatro in lingua, del tutto sconosciuto e dagli esiti assolutamente imprevedibili alla sola lettura del testo. Se lo spartito del monologo pedrettiano è o può apparire tradizionalissimo, di sorprendente attualità sono le note, le voci insomma dei monologanti, quelle di uomini e donne portatori, in gran parte, di una identità individuale e sociale assolutamente normali: sono burocrati, professori, preti, suore, custodi di condomini. Una normalità che, improvvisamente, si rivela insopportabile, asfittica, coattiva. Se si tiene presente la cornice temporale della redazione di questi testi, la fine degli anni ’70 in Italia, con l’avvio di una graduale omologazione della coscienza collettiva nutrita di consumismo e anestetizzata da un pensiero unidimensionale (lo stesso che ci ha condotto al default antropologico di oggi) comprendiamo la sensibilità profetica dei personaggi di Pedretti. I sette monologhi con altrettanti personaggi scelti per la messa in scena da Silvio Castiglioni nello spettacolo clementino hanno in comune una sorta di sottotesto che racconta della banalità del vivere e di un’insopprimibile quanto impossibile ricerca di un varco di fuga. Monologhi dove non c’è grido, urlo, dove non c’è neanche la scena, lo spazio, il mondo, ma solo voci in una ricchissima varietà cromatica, quelle di una sperduta umanità al limite del silenzio. Testi di stratificata complessità nellaloro apparente semplicità. Un autentico ossimoro drammaturgico e un’autentica scommessa per l’autore e regista Silvio Castiglioni. Scommessa pienamente vinta, in una splendida serata di piccolo, grande teatro italiano.