Recensione
Mario Gazzola e LaCri•posthuman.it•11 November 2010
Rarefatto il Vampiro in scena al CRT
Il vampiro va dunque in scena al Salone CRT (via Dini a Milano) in una forma rarefatta, minimale ed essenziale, come un doppio monologo: lui dal testo di Polidori, lei dal Prode di Marina Cvetaeva (ispirato alla fiaba Il vampiro di Afanasjev, a sua volta tratta dal Polidori). Entrambi maturi, narrano compostamente, in un sussurro, le confessioni mancate (sottotitolo dello spettacolo), ossia le due facce del proprio romanzo di formazione. Sono fratello e sorella, entrambi in adolescenza conobbero il famoso vampiro del romanzo “dagli occhi di piombo” (Lord Ruthvein non viene mai nominato direttamente, mai presente in scena, sempre evocato come un fantasma. Ciascuno dei due – interpretati con consumata finezza da Silvio Castiglioni ed Emanuela Villagrossi – racconta la propria storia, da solo. Pertanto anche noi seguiremo la loro impronta con una doppia recensione scritta a quattro mani. (…)
Entriamo, in scena c’è già l’attore, al buio. È bello vedere che è lui che ci attende, non siamo noi a fissare il vuoto in sua attesa. La scena è vuota e nera. Lo schermo sul fondo, piatto e livido.- Le luci di sala si spengono. Luci di taglio ai lati su di lui. Due fari laterali illuminano il volto e il corpo dell’attore che – trasformato in vampiro dall’abile gioco di luci – inizia a parlare. Il suono della sua voce è costante, esile che sembra sempre lì lì per spezzarsi, sofferto, quasi monocorde. Pochi gli accenti e i cambi di ritmo. Anche il gesto scenico è minimale, lentissimo, distillato e rituale come un kabuki sempre a un passo dall’infrangersi come un cristallo toccato per sbaglio. Pochi passi calibrati, spesso solo accennati, spostandosi nella luce danno ritmo e colore al grigio scuro della scena. Sono sempre le luci a sorprenderci, portandoci in un nuovo spazio. Più ampio, più chiaro, ma mai vuoto di significato. Luci accecanti a terra per abbagliare noi durante l’uscita di scena di lui e l’entrata di lei.
Ora è lei a narrare. Il suo corpo si rompe in scena con armonia.(…) Ancora tutto accade fuori scena, come nella tragedia greca. No action, solo logos sulle tavole del teatro. Il suono è un altro elemento di accompagnamento interessante. Ronzii fuori scena, sussurri, echi di cori chiesastici sempre più lontani; lamenti. Anche nella colonna sonora gli elementi classici del gotico vengono rarefatti fino a un’astrazione quasi da musica electro postindustriale. Meno preponderante delle luci sostiene le parole che creano immagini nitide del bosco, del lago, della camera, collante glauco di uno spazio scenico paurosamente spoglio. Spettacolo breve (un’ora esatta) e non facile, non dinamico, richiede attenzione e concentrazione. Ma il suo gioco di sottrazione di ogni cliché sull’abusata figura dai canini lo rende visibile anche a chi pensa che i vampiri abbiano ormai succhiato tutto il nostro sangue residuo. (…)