Recensione
Magda Poli•Corriere della sera•09 December 2016
Storia di Ghizzardi scrittore insolito
Con garbo, intelligente passione, Silvio Castiglioni in “Casa Ghizzardi: mi richordo anchora” spalanca il mondo di Pietro Ghizzardi, morto nel 1986, pittore e scrittore, lui che non conosceva la pittura e la lingua. Quasi analfabeta scrisse “Mi richordo anchora”, vinse il Viareggio, senza sapere cosa fosse una tecnica divenne un pittore riconosciuto.
Castiglioni, in un suggestivo itinerario nei corridoi del Teatro dell’Arte parla di questo straordinario contadino della Bassa Padana talmente povero che inventava i supporti su cui dipingere, trattando i cartoni. I colori erano terre, fiori, erbe, misture e dipingeva entrambe le facce: mai sprecare. Dipingeva ovunque, sui muri di case, chiese, stalle. Ritratti, donne, autoritratti, animali, scene sacre, leggende.
Castiglioni inventa gallerie alle cui pareti non ci sono quadri ma rettangoli di luce. L’immaginazione, sul filo evocativo della parola, per entrare in contatto con l’artista e l’uomo. Castiglioni diventa poi Ghizzardi col mantello a ruota e il cappello ornato di piume e infine si arriva alle sue opere dall’espressività potente. Un viaggio ben condotto, lieve e stupefacente alla scoperta, per dirla con Ghizzardi, de “la vera sincerità del pittore, la vera ingenuità, la vera sensibilità naif… delle chose giuste e sincere”.